Gli Stati Uniti prima di Pearl Harbor

Nel settembre dei 1939, quando scoppiò la guerra europea i sondaggi d'opinione dimostrarono che la vasta maggioranza degli americani simpatizzava per gli alleati; ma contemporaneamente vi era un'unanime e ferma opposizione a prendere parte attiva alla lotta contro la Germania. Nel settembre 1939 questi due sentimenti non erano ancora incompatibili, ma, dal momento del crollo della Francia fino alla fine del 1941 gli Stati Uniti si trovarono di fronte al dilemma:

  • stare ad osservare Hitler mentre occupava, un paese dopo l'altro, tutta l'Europa,
  • affiancarsi a coloro che lo fronteggiavano.

    Entro la fine del 1940 gli Stati Uniti si erano ormai impegnati ad appoggiare la causa alleata, e sembrava sempre più probabile che quest'impegno avrebbe finito col trascinarli nella guerra. Ma, per mantenere il consenso dell'opinione pubblica a questa politica d'appoggio il presidente Roosevelt dovette promettere che non avrebbe inviato truppe americane a combattere in Europa. Piuttosto che correre il rischio di alienarsi l'opinione pubblica, Roosevelt pensò che la migliore cosa da fare fosse assicurarsi l'appoggio del paese per una politica basata su ogni genere d'aiuti, esclusa la guerra. Anche questo era più di quanto gli americani sarebbero stati disposti ad accettare nel 1939.

    Nel 1941 Roosevelt tradusse in pratica questa politica spingendosi sempre più vicino all'orlo della guerra con la Germania. Ma la costituzione gli vietava di dichiarare formalmente guerra. In effetti, fu il Giappone, alleato della Germania, che fini con il provocare gli Stati Uniti in modo tale da costringerli ad entrare in guerra.

    Nel 1940, e specialmente nel 1941 quando i più stretti consiglieri di Roosevelt gli rimproveravano senza mezzi termini il modo incerto ed esitante con il quale soppesava il dilemma: entrare o no in guerra il presidente aveva avviato un delicato dialogo con il popolo americano. Per giustificare la sua cautela egli diceva di non osare spingersi troppo avanti rispetto all'opinione pubblica. Compiendo un passo che poi gli americani avrebbero disconosciuto, egli avrebbe inferto alla causa alleata un colpo mortale; tutto quello che poteva fare era cercare di smantellare, poco a poco, l'ostinato atteggiamento di neutralità nel quale gli Stati Uniti avevano deciso di trincerarsi nei giorni degli anni trenta. Per Roosevelt, le battaglie chiave degli ultimi anni trenta e del 1940 / 41 erano quelle che egli combatteva contro l'isolazionismo del Congresso e del popolo americano.

    L'isolazionismo era vecchio quanto la storia americana. Come principio ispiratore della politica estera statunitense, esso era stato espressamente formulato da George Washington nel suo messaggio di commiato, e riaffermato poi da Jefferson e Monroe. Esso era sgorgato, dalle sfere della certezza morale; e in seguito fu sempre accettata dagli americani come una parte naturale dell'ordine del mondo altrettanto ovvia quanto quei " diritti " che all'origine avevano giustiflcato la loro decisione di allontanarsene.

    Solo alla luce di questa esperienza, che ne aveva accompagnato la nascita è possibile capire l'atteggiamento assunto dagli Stati Uniti verso gli affari internazionali nella prima metà del XX secolo: un'incessante tendenza a catechizzare accompagnata da una persistente incapacità di adottare qualsiasi concreta linea di azione. Tutti gli sforzi fatti dagli statisti americani per preservare la pace mondiale, negoziare il disarmo e bandire la guerra erano svuotati di ogni significato dal fatto che il paese si era autoimposto di non accettare alcun accordo che potesse trascinare gli Stati Uniti in una guerra, o comunque limitarne la libertà d'azione.

    E' vero che nel 1922 gli Stati Uniti avevano firmato gli Accordi di Washington, concernenti il Pacifico; ma poiché non prevedevano alcun impegno a un eventuale ricorso alla forza, essi non avevano nessun valore effettivo. Lo stesso dicasi del patto antibellico Kellogg Briand, che costituì la migliore dimostrazione della futilità di una politica estera basata su luoghi comuni di tipo moralistico. Il timore di impelagarsi in questioni internazionali, era così forte che nel 1935 il senato aveva addirittura respinto l'idea che gli Stati Uniti riconoscessero il Tribunale Internazionale. E quando, quello stesso anno, l'Italia invase l'Etiopia, pur imponendo un embargo " morale " su talune esportazioni, il governo fece l'impossibile per evitare di cooperare apertamente con la Società delle Nazioni. Nel 1934, il rifiuto da parte degli Stati Uniti di accettare ogni sorta di preciso impegno nel caso di un'eventuale aggressione fece fallire la conferenza di Ginevra per il disarmo: volendo a ogni costo preservare la propria libertà d'azione l'America respinse risolutamente l'idea di impegnarsi in una azione concreta.

    Eppure nel 1917 gli Stati Uniti erano entrati in guerra, ma le conseguenze erano state esattamente opposte a quelle che sarebbe stato logico attendersi. Avendo creduto che la prima guerra mondiale fosse " la guerra per porre fine alle guerre " gli americani erano scesi in campo animati dall'intenzione di raddrizzare il mondo; ma l'andamento stesso della guerra, i negoziati di pace e il Trattato di Versailles li avevano profondamente delusi.

    E quando, nel 1920, il senato si rifiutò di ratificare l'adesione americana alla Società delle Nazioni, la causa della sicurezza collettiva subi un colpo dal quale non si riprese per vent'anni.

    Nelle elezioni del 1920 i candidati democratici alla presidenza e alla vicepresidenza, James Cox e Franklin Roosevelt, che si erano dichiarati nettamente favorevoli all'adesione alla Società, furono sonoramente sconfitti; quando poi, nel 1932, lo stesso Roosevelt venne prescelto come candidato democratico alla presidenza, egli aveva ormai irrimediabilmente compromesso la sua posizione sul terreno della politica estera ripudiando, sotto la pressione del proprietario di una catena di quotidiani (W. R. Hearst), la Società delle Nazioni. Di qualunque tipo fossero le sue idee personali in merito all'internazionalismo, durante il suo primo mandato presidenziale Roosevelt si accontentò di seguire l'ondata di isolazionismo che stava dilagando nel paese perseguendo, in campo economico, una politica chiaramente nazionalistica.

    La lezione degli anni 1917 / 19, il nazionalismo economico, e l'incapacità che i paesi europei avevano dimostrato di mantenere fede ai loro debiti di guerra furono tutti elementi che sembravano confermare la fondatezza delle tesi di Washington secondo cui gli Stati Uniti avevano ogni interesse a dissociarsi completamente dai problemi europei.

    La pressione per l'adozione di queste leggi, era derivata da un'indagine promossa dal senato sull'industria delle munizioni, indagine durante la quale alcuni avevano sostenuto che nel 1917 gli Stati Uniti erano entrati in guerra per proteggere gli interessi di banchieri e fabbricanti di armi che intendevano speculare sulla situazione; il senato esercitò quindi pressioni affinché venissero adottate leggi capaci di impedire il ripetersi di quanto era avvenuto nel 1917. Il Neutrality Act del 1935 pose 1'embargo sull'esportazione di materiali bellici, di ogni genere, ai paesi belligeranti, in modo da precludere la possibilità che i fabbricanti di armi trascinassero il paese in una nuova guerra e nel 1936 venne aggiunta la proibizione di concedere prestiti ai belligeranti.

    La legge proibiva inoltre alle navi americane di trasportare munizioni ai belligeranti, e assegnava al presidente il potere di rifiutare protezione ai cittadini statunitensi viaggianti su navi dei paesi belligeranti. L'intento e l'effetto di queste clausole fu di abbandonare il principio della libertà dei mari e in tal modo il paese cessò di riconoscere, volontariamente, quei diritti dei paesi neutrali per difendere i quali Wilson era entrato in guerra nel 1917.

    Poiché la legge non faceva distinzione fra vittima e aggressore, consentendo cosi l'esportazione di materie prime di vitale importanza in Italia durante la sua guerra contro l'Etiopia, Roosevelt tentò di apportarvi alcuni emendamenti. Ma il Congresso respinse le sue proposte, molto probabilmente per timore di contrariare gli elettori italoamericani. Lo stesso Roosevelt era molto sensibile all'opinione di larghi strati della popolazione.

    Nel 1937, tuttavia, il Neutrality Act fu emendato in modo da incorporare il principio del cash and carry (paga e porta via), a norma del quale i belligeranti potevano acquistare merci in America, ma soltanto se erano in grado di pagare in contanti e di trasportare quanto acquistato su loro navi. Era questa la logica conclusione della preoccupazione del Congresso di impedire, fino a quando fosse possibile, ogni contatto, con i belligeranti senza per questo mettere a repentaglio l'economia americana.

    >Roosevelt, intanto, era sempre più turbato dal diffondersi della violenza nel mondo e dall'atteggiamento negativo dell'America di fronte a quel fenomeno. Nel tentativo di por fine alla tendenza a cercare nella guerra la soluzione ai problemi politici, egli formulò un piano ambizioso: convocare una conferenza mondiale per definire i principi basilari cui avrebbero dovuto attenersi i rapporti internazionali, cosi da rendere possibile una revisione di quelle che egli definiva le " ingiustizie " della sistemazione elaborata a Versailles. Per preparare il terreno all'annuncio ufficiale di questo piano, il 5 ottobre 1937, a Chicago, Roosevelt pronunciò un importante discorso politico, nel corso dei quale sembrò assumere un esplicito impegno nei confronti della sicurezza collettiva:

    " Le nazioni amanti della pace devono fare uno sforzo concertato per opporsi a quelle violazioni dei trattati e a quel diseonoscimento degli istinti umani che oggigiorno danno luogo a uno stato di anarchia e di instabilità internazionale dal quale non è possibile uscire con una semplice politica di isolamento o di neutralità... quando comincia a diffondersi un'epidemia, la comunità accetta di sottoporre alla quarantena i malati al fine di proteggere la salute della comunità stessa contro il diffondersi del male... la guerra è un male contagioso, sia dichiarata o no ".

    In generale, questi ammonimenti furono accolti bene dalla stampa e dall'opinione pubblica americana; ma una significativa minoranza sobbalzò al pensiero delle implicazioni di una " quarantena " mondiale, e cominciò a protestare a gran voce. In effetti, Roosevelt aveva pensato alla possibilità di applicare ai paesi aggressori una forma estremamente drastica di sanzioni. Quando si rese conto di aver suscitato un vespaio, egli abbandonò in tutta fretta questa presa di posizione, negando in termini espliciti una settimana dopo il discorso della " quarantena " che si stesse pensando alla possibilità di applicare sanzioni contro il Giappone.

    Anziché portare a una graduale evoluzione l'opinione pubblica, con i suoi atteggiamenti contraddittori Roosevelt era riuscito soltanto a rendere perplesso l'elettorato e furibondo il suo segretario di stato, Cordell Hull, il quale si affrettò a porre il suo veto all'idea di rendere di pubblico dominio il piano per la conferenza mondiale, piano che Roosevelt fu quindi costretto a lasciar cadere. Alla fine dell'anno la conferenza di Bruxelles, che avrebbe dovuto risolvere la disputa cino giapponese, si concluse senza aver raggiunto alcun risultato in realtà, dato che gli Stati Uniti non prendevano neppure in considerazione l'idea di adottare provvedimenti concreti contro il Giappone, si può dire che la conferenza non era mai iniziata. Neppure il deliberato affondamento della cannoniera statunitense Panay da parte di alcuni bombardieri giapponesi il 12 dicembre 1937 riusci a spingere il governo a prendere adeguate misure nei confronti di quella che, in Estremo Oriente, era ormai diventata una situazione minacciosa.

    In realtà, il principale effetto dell'incidente del Panay fu quello di suscitare una nuova ondata di isolazionismo nel Congresso, il quale giunse quasi al punto di approvare un emendamento della Costituzione a norma del quale prima di poter dichiarare guerra il Congresso aviebbe dovuto consultare il popolo attraverso un referendum. La minoranza dei membri del Congresso che si dichiararono favorevoli alla proposta fu abbastanza cospicua da ricordare a Roosevelt che sul terreno degli affari internazionali egli avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento di grande cautela; per buona parte del 1938 egli rimase quindi passivo, limitando la propria azione durante la crisi cecoslovacca a quanto pensava gli consentisse l'opinione pubblica americana.

    Deciso a non assumere il ruolo di mediatore, Roosevelt respinse persino l'idea che a una conferenza presenziasse un delegato americano. I provvedimenti che egli prese nel 1938 si inquadravano esclusivamente nel contesto della difesa dell'emisfero. Il 18 agosto parlando a Kingston, nel Canada, Roosevelt garantì l'appoggio americano al Canada e in novembre annunciò un aumento di 300 milioni di dollari nelle spese per la difesa.

    Mentre potenziava le difese interne, Roosevelt si rendeva conto che l'apparato bellico potuto essere utilizzato per aiutare Gran Bretagna e Francia nell'eventualità di un attacco da parte della Germania. Egli sperava di riuscire a convertire gli americani a questo obiettivo limitato: dare alle democrazie il massimo aiuto che fosse compatibile con il mantenimento della neutralità.

    Ciò significava riarmare le democrazie in tempo di pace ed emendare la legislazione relativa alla neutralità in modo da poterle rifornire di materiale bellico in tempo di guerra. Nel corso del 1939, sia Roosevelt sia il suo segretario di stato pronunciarono numerosi ammonimenti contro i pericoli connessi al fatto di non apportare alcuna modifica alle leggi sulla neutralità.

    Ma gli sforzi di Roosevelt per mobilitare la pubblica opinione furono annullati da un incidente in sé banale: il 23 gennaio 1939, durante un volo segreto di prova, precipitò un prototipo di bombardiere americano con a bordo un ufficiale francese. Ciò rese di dominio pubblico, per la prima volta, gli sforzi clandestini anche se perfettamente legali di Roosevelt per aiutare le democrazie. E anche se l'opinione pubblica era favorevole alla vendita di aerei da guerra a Francia e Gran Bretagna (e ben il 44 % auspicava una legislazione che attuasse discriminazioni nei confronti della Germania), il guaio era stato fatto. L'incidente aveva provocato nel Congresso un atteggiamento di sospetto e, nonostante tutti i suoi sforzi, Roosevelt non riusci a far emendare il Neutratity Act. L'embargo sulle armi non poté essere revocato, e neppure reso più flessibile in modo da valere solo per i paesi aggressori.

    Anche quando Roosevelt decise di accettare il compromesso di porre la vendita delle armi su di una base cash and carry, soluzione che non gli piaceva affatto, in quanto avrebbe aiutato il Giappone nel Pacifico il senato si rifiutò di prendere in esame la proposta.

    Il 18 luglio 1939, gli Stati Uniti fecero il primo passo sulla via che li avrebbe allontanati dall'isolamento: il senatore Vandenberg, uno dei più accesi isolazionisti, chiese che gli Stati Uniti preavvisassero il Giappone che il trattato commerciale del 1911, a norma del quale gli scambi tra i due paesi erano stati posti su di una base preferenziale, sarebbe stato ritenuto scaduto dagli Stati Uniti come ritorsione contro la persistente politica di aggressione perseguita dai giapponesi in Cina e nell'Estremo Oriente.

    Roosevelt pensava da molto tempo a una azione di questo genere, ma fino a quel momento non aveva potuto far altro che approvare le ripetute rimostranze del Dipartimento di stato al Giappone. Finalmente si ricorse in modo esplicito alla minaccia di sanzioni economiche anche se avrebbero dovuto passare molti mesi prima che le sanzioni, pur nella loro forma più limitata, venissero applicate. Se l'atteggiamento interventista di Vanderberg può sembrare contraddittorió con il suo isolazionismo, si dovrebbe ricordare, che i più ostinati esponenti della transizione isolazionista, erano anche i più fermi sostenitori di un altro tradizionale dogma della politica estera americana quello della " porta aperta " in Cina. Gli americani ritenevano che la sfera dei loro interessi abbracciasse più l'Estremo Oriente che non l'Europa. Ma questo tipo di interessamento non impedi loro di sottovalutare in misura molto grave il potenziale bellico del Giappone.

    Se il governo era pronto a dimostrare una certa fermezza sul Pacifico, le sue reazioni quando infine scoppiò la guerra in Europa, costituiscono una chiara dimostrazione di quanto artificiose fossero le difficoltà e la visione del mondo che gli americani si erano creati. Il primo passo del governo fu quello di proporre una nuova legge sulla neutralità che escludesse qualsiasi forma di embargo sulle armi.

    Dopo sei settimane, il Congresso accettò i punti principali: l'embargo sulle armi fu revocato, cosicché da quel momento in poi gli alleati avrebbero potuto accedere alle risorse americane. Ma tutte quelle clausole che avrebbero potuto offrire un pretesto per l'entrata in guerra degli Stati Uniti furono accuratamente riviste in modo da precludere ogni " scappatoia ". Le forniture di armi vennero poste su di una base cash and carry, ai cittadini americani venne proibito di viaggiare sulle navi dei belligeranti e alle navi americane di navigare in acque definite zona di combattimento. Pur costituendo un passo avanti rispetto al cieco isolazionismo del 1935 e del 1937, la legge del 1939 riaffermava la sostanziale intenzione degli Stati Uniti di attenersi in modo scrupoloso a una neutralità rigidamente definita. L'" errore " di Woodrow Wilson di entrare in guerra per difendere la libertà dei mari non sarebbe stato ripetuto.

    Il successivo passo del governo fu quello di indurre tutti gli altri paesi del continente americano, escluso il Canada, ad accettare in sostanza la dottrina Monroe. La Dichiarazione di Panama del 3 ottobre 1939 fissò intorno alle Americhe una cintura della profondità minima di 300 miglia: i belligeranti europei venivano solennemente ammoniti a non violare militarmente questa fascia protettiva.

    L'intenzione di fondo del governo statunitense fu fermamente espressa da Roosevelt non appena scoppiò la guerra: " Spero che gli Stati Uniti si manterranno estranei a questa guerra. lo credo che lo faranno. E affermo e ribadisco che ogni sforzo del vostro governo sarà diretto a quel fine ".

    In apparenza, sembrerebbe trattarsi di una completa resa alle tesi isolazioniste. Eppure è difficile immaginare cos'altro Roosevelt avrebbe potuto dire. Un sondaggio di opinione effettuato subito dopo lo scoppio della guerra rivelò che il 30 % degli americani voleva una completa neutralità e un embargo totale verso i belligeranti, mentre un altro 37 % voleva la neutralità pur approvando la vendita di armi su di una base cash and carry. In altre parole, due terzi del paese volevano che fosse osservata una stretta neutralità.

    Nonostante tutta la loro simpatia per gli alleati, gli americani erano nettamente favorevoli alle leggi sulla neutralità, con la loro dichiarata intenzione di preservare gli Stati Uniti dal pericolo di entrare in guerra. In un discorso pronunciato poche ore dopo le dichiarazioni di guerra inglese e francese, Roosevelt aveva espresso in modo molto accurato lo stato d'animo del paese: " Questo paese resterà un paese neutrale, ma io non posso chiedere che anche ogni americano resti neutrale in cuor suo. Anche un neutrale ha diritto a tener conto dei fatti. Anche a un neutrale non si può chiedere di chiudere gli occhi di fronte alla realtà o di far tacere la propria coscienza ".

    Avendo assunto una posizione di neutralità, Roosevelt e i suoi consiglieri non poterono far altro che restare in attesa degli eventi anche se tentarono, senza crederci troppo, di preparare le basi per quella che veniva descritta come una pace " morale ".

    La verità pura e semplice, era che fino a quando la politica estera degli Stati Uniti si fosse basata su considerazioni di tipo moralistico e legalitario che escludevano persino la possibilità di minacciare un intervento armato, essa era destinata al fallimento. L'influenza morale di un paese è direttamente proporzionale alla misura in cui esso è pronto a usare la forza. Roosevelt poteva condannare l'aggressione quanto voleva, ma poiché la tradizione dell'isolazionismo proibiva ogni intervento attivo e poiché le leggi sulla neutralità non facevano alcuna distinzione tra aggressore e vittima Russia e Germania potevano tranquillamente invadere Finlandia, Danimarca e Norvegia, nella certezza che le proteste americane non si sarebbero mai tradotte in fatti.

    L'episodio finlandese costituisce un esempio particolarmente triste di questo fatto. Gli americani furono pressoché unanimi nel condannare l'attacco sferrato dalla Russia alla fine del novembre 1939, e Roosevelt impose immediatamente un embargo morale ai danni dell'URSS. Ma né il governo né il Congresso, erano disposti a concedere prestiti ai finlandesi affinché potessero comprare all'estero quelle armi di cui avevano disperato bisogno; e quando finalmente il Congresso approvò una legge che prevedeva la concessione alla Finlandia di un credito di 20 milioni di dollari per forniture non militari, la " guerra d'inverno " era praticamente terminata. Quando Danimarca e Norvegia furono attaccate dalla Germania, un sondaggio di opinione dimostrò che più della metà degli americani era contraria all'idea di concedere un aiuto anche soltanto finanziario alle vittime dell'aggressione.

    Ma l'offensiva che a partire dal 10 maggio 1940 Hitler scatenò contro l'Occidente sconvolse completamente i calcoli degli americani. Roosevelt non poteva più pensare che gli alleati avrebbero vinto con il solo aiuto materiale americano, e il paese non poteva più pensare di non essere direttamente minacciato anzi, si diffuse ben presto il timore che Hitler avrebbe quanto prima attraversato l'Atlantico.

    Il presidente chiese immediatamente aall Congresso un miliardo di dollari per meccanizzare l'esercito e per aumentare considerevolmente la produzione di aerei e il Congresso concedette un miliardo e mezzo, il 31 maggio, mentre era in pieno svolgimento l'evacuazione da Dunkerque, Roosevelt indirizzò al Congresso un altro appello. Di fronte a questa richiesta, il Congresso approvò lo stanziamento di un altro miliardo di dollari per l'esercito e di quasi 700 milioni di dollari per la marina. Entro l'ottobre gli stanziamenti per la difesa ammontarono in totale a più di 17 miliardi di dollari.

    Poco si poté fare per alleviare la situazione in cui si trovavano gli alleati. Roosevelt fece ripetuti sforzi per convincere Mussolini a non entrare in guerra, ma respinse la proposta di quanti sostenevano che per dare maggior peso ai suoi argomenti egli avrebbe dovuto inviare nel Mediterraneo l'American Attantic Flect. Alle richieste francesi e inglesi che gli Stati Uniti entrassero in guerra, o almeno dichiarassero la non belligeranza egli non poté che rispondere negativamente: un abbandono dello stretto concetto americano di neutralità restava fuori discussione.

    Fu a questo punto che Churchill avanzò una serie di richieste specifiche, la più importante delle quali, riguardava la concessione in prestito di 40 o 50 cacciatorpediniere; il primo ministro inglese suggerì tra l'altro che il flusso delle forniture americane continuasse anche nel caso che a un certo momento la Gran Bretagna esaurisse le proprie riserve finanziarie. Roosevelt si impegnò a inviare quelle esigue eccedenze che fossero apparse disponibili, anche se l'invio di simili forniture avrebbe comportato il superamento di numerosi ostacoli di natura giuridica. La richiesta relativa ai cacciatorpediniere dovette però essere respinta, in quanto al governo statunitense non piacque affatto l'idea di dover chiedere al Congresso di autorizzare l'invio di unità che, per quanto vecchie, erano ancora in servizio attivo e sembravano indispensabili per la difesa dell'emisfero. Per quanto si riferiva poi all'invio in Gran Bretagna di forniture non accompagnate da pagamento in contanti, ciò era esplicitamente vietato dalle leggi sulla neutralità.

    Eppure era chiaro che l'opinione pubblica americana era così mobilitata, e il morale degli alleati cosi basso, che Roosevelt non poteva non assumere decisamente l'iniziativa. Gli sforzi difensivi americani non potevano essere rigidamente limitati al tradizionale concetto di emisfero occidentale: il programma di riarmo doveva essere correlato al simultaneo obiettivo di aiutare gli alleati.

    Il 10 giugno 1940, il giorno in cui l'Italia dichiarò guerra, Roosevelt pronunciò un importante discorso politico a Charlottesville (Virginia); egli denunciò in termini estremamente duri la " pugnalata alle spalle " di Mussolini (perdendo cosi migliaia di voti italoamericani nelle elezioni presidenziali del 1940). Ma ancora più importante fu l'impegno del tutto esplicito che egli assunse nei confronti degli alleati, collegandolo a un programma di riarmo su vasta scala.

    Ma questo impegno, non poté salvare la Francia, Reynaud, il primo ministro francese, aveva ripetutamente chiesto a Roosevelt di dichiarare guerra alla Germania, ma il presidente americano non poteva spingersi ancora più in là della posizione assunta con il discorso di Charlottesville. In effetti, questa presa di posizione esprimeva i sentimenti dell'opinione pubblica americana: il 67% del paese era favorevole alla concessione di ogni possibile aiuto agli alleati, ma solo il 27% si dichiarava favorevole a un'entrata in guerra e in luglio questa cifra scese al 15 %.

    Churchill si affrettò a chiedere che l'impegno formulato a Charlottesville venisse mantenuto. Il giorno seguente a quello del discorso di Roosevelt, egli ribadi la sua urgente richiesta di cacciatorpediniere, indispensabili per respingere la minacciata invasione tedesca e neutralizzare l'entrata in azione della marina da guerra italiana. Ma anche se Roosevelt avessero approvato il prestito, la richiesta inglese sarebbe comunque caduta nel nulla, dato che il presidente era virtualmente paralizzato da un dibattito ostruzionistico che si concluse con l'approvazione di un ulteriore provvedimento isolazionista: la legge che vietava la cessione di qualsiasi tipo di materiale bellico della marina o dell'esercito che i responsabili militari non avessero definito " non indispensabile per la difesa ".

    A questo punto un'organizzazione americana filoinglese, il Century Club, fece rilevare che la cessione in prestito dei cacciatorpediniere avrebbe potuto essere resa più attraente agli occhi del Congresso suggerendo che gli inglesi dessero in cambio delle navi le loro basi situate nell'emisfero occidentale. L'idea, prontamente adottata, ridusse in effetti al silenzio tutti gli oppositori, in quanto da lungo tempo gli isolazionisti si battevano per l'acquisto di quelle basi.

    L'affare dei cacciatorpediniere ebbe un'importanza straordinaria. Innanzi tutto esso rese evidente che gli Stati Uniti avevano adottato, sotto ogni aspetto, un atteggiamento di non belligeranza: ormai la " neutralità " precludeva soltanto la possibilità di un intervento armato. In secondo luogo, esso fu approvato da una larga maggioranza dell'opinione pubblica americana, e non venne quindi sfruttato come argomento polemico dalle diverse parti politiche.

    Ciò che indusse gli americani, ad accettare questa interpretazione piuttosto libera del concetto di neutralità, fu indubbiamente la conquista della Francia da parte dei tedeschi. Le umilianti disfatte inflitte agli alleati costrinsero il popolo americano a rendersi conto che i soli ostacoli che separavano la Germania dagli Stati Uniti erano il vuoto Atlantico e una Gran Bretagna male armata e minacciata da vicino dai tedeschi. Le ripercussioni dei successi tedeschi furono dunque immediate e sorprendenti, e la popolarità di Roosevelt segnò un improvviso aumento, Roosevelt decise quindi di presentarsi davanti agli elettori per farsi affidare un terzo mandato presidenziale.

    Lo spostamento dell'opinione pubblica fu particolarmente chiaro nella lotta per la nomina del candidato repubblicano alla presidenza. Fino all'epoca dell'offensiva di maggio si pensava che si trattasse di una gara tra Thomas Dewey e Robert Taft; ma il crollo degli alleati spinse l'opinione pubblica a scartare Dewey in quanto troppo giovane e inesperto e Taft in quanto isolazionista troppo rigido, e a rivolgersi verso un vero e proprio outsider, Wendell Willkie, che propugnava tesi energicamente internazionaliste. Tre giorni prima che Hitler invadesse i Paesi Bassi un sondaggio dell'opinione pubblica rivelò che solo il 3% degli interrogati era favorevole a Willkie; ma nel periodo in cui i francesi stavano negoziando la loro resa questa percentuale sali al 29%. L'appoggio americano alla Gran Bretagna era in tal modo assicurato, chiunque vincesse le elezioni del 1940.

    Al fine di accelerare questo appoggio di ambedue i partiti alla sua politica estera, il 19 giugno Roosevelt nominò due repubblicani, Stimson e Knox, a due incarichi chiave del suo gabinetto: ministro della guerra e ministro della marina. Entrambi erano decisamente filoalleati, e Stimson riusci ben presto a convertire Roosevelt all'idea di introdurre la coscrizione anche in tempo di pace. Gli isolazionisti opposero un'energica resistenza ma, grazie all'approvazione di Willkie, entro la metà di settembre fl Congresso aveva approvato il Selective Service Bill.

    L'appoggio di alcune eminenti personalità repubblicane e di Willkie, in particolare, alla politica estera di Roosevelt costitui un fattore di grande importanza. E' quasi una regola nella storia americana che il presidente non riesca a perseguire un'attiva politica estera nell'ultimo anno del suo mandato a causa della mancanza di qualsiasi sicurezza di continuità, ma poiché Willkie aveva approvato l'introduzione del servizio militare selettivo e la cessione dei cacciatorpediniere ed era persino giunto ad annunciare che, se eletto, avrebbe lasciato al suo posto il segretario di stato di Roosevelt, Cordell Hull, l'intera questione dell'appoggio alla Gran Bretagna non rientrò tra i problemi dibattuti nel corso della campagna elettorale.

    Non avendo un loro candidato alla presidenza, gli isolazionisti finirono col trovarsi tagliati fuori dalla scena politica. Naturalmente in tutto il paese, e specialmente tra le persone di origine tedesca o irlandese, era ancora presente un solido substrato di sentimenti isolazionisti, e i ranghi di coloro che si opponevano a una politica di intervento erano poi rafforzati dai pacifisti liberali, dai neofascisti e dai comunisti. D'altra parte, il punto di vista internazionafista veniva per la prima volta spiegato e propagandato su scala nazionale, in particolare dall'attività del Committee to Defend America by Aiding the Allies (Comitato per difendere l'America aiutando gli alleati), fondato nel maggio 1940. Il Committee to Defend Anterica svolse un'attività propagandistica così efficace che, per neutralizzarla, nel luglio del 1940 gli isolazionisti formarono una propria organizzazione: il comitato America First (Prima l'America). Ma. sostenuta quasi esclusivamente da alcuni ambienti conservatori di Chicago, essa non riusci a esercitare sull'opinione pubblica la stessa " presa " del Committee to Defend America.

    Verso la fine della campagna per l'elezione presidenziale, pur ribadendo incessantemente il suo appoggio agli inglesi, Roosevelt fu più volte costretto a insistere sul fatto che gli Stati Uniti non si sarebbero lasciati trascinare nei conflitti di altri paesi. Era impossibile evitare di dare questa assicurazione: ma non vi è dubbio che essa venne data in malafede, dato che in quel periodo quasi tutti i consiglieri di Roosevelt e lo stesso presidente erano ormai arrivati a rendersi conto che come ultima risorsa l'America avrebbe dovuto intervenire per difendere la Gran Bretagna.

    Per Roosevelt si trattava di un terribile dilemma: avendo assunto questo impegno, egli non avrebbe potuto entrare in guerra fino a quando Germania o Giappone non avessero ritenuto opportuno sferrare un colpo contro gli Stati Uniti. D'altra parte, non assumendo quell'impegno Roosevelt non aviebbe potuto essere certo di ottenere un terzo mandato presidenziale nel corso del quale dare alla Gran Bretagna il massimo aiuto possibile. Paradossalmente, nel novembre del 1940 Roosevelt fu eletto per la terza volta affinché agisse mantenendosi entro i limiti della neutralità, restando fedele a un programma il cui esplicito impegno era quello di tener l'America fuori dalla guerra.

    Sussisteva però il problema di quali fossero i limiti della neutralità. Stimson e Knox, esercitarono pressioni affinché si giungesse a un chiarimento della posizione americana. L'aggravarsi della situazione nella battaglia dell'Atlantico li convinse che soltanto un aumento massiccio di aiuti da parte degli Stati Uniti avrebbe potuto salvare la Gran Bretagna.

    La necessità più impellente era quella di mantenere aperte le linee di comunicazione d'importanza vitale; l'assoluta priorità era assegnata alle derrate alimentari, e Stimson e Knox sollecitarono il ricorso alla confisca di navi tedesche e italiane nei porti americani per colmare i vuoti che le forze dell'Asse aprivano nella marina mercantile della Gran Bretagna. Ma questo sarebbe stato soltanto un rimedio temporaneo. Due erano le misure a lunga scadenza che avrebbero potuto salvare la Gran Bretagna: gli Stati Uniti avrebbero dovuto fornirle quanto necessitava senza preoccuparsi dei pagamenti, e la marina da guerra statunitense avrebbe dovuto mettere a disposizione dei convogli scorte adeguate.

    L'idea del Lend Lease (affitti e prestiti) si sviluppò da una serie di schemi suggeriti da vari membri del gabinetto, e lo stesso Roosevelt svolse un ruolo di primo piano nella formulazione definitiva del programma. La cessione in prestito di materiale bellico americano, avrebbe tenuto in scacco Hitler senza contravvenire alle leggi sulla neutralità. La disperata situazione finanziaria inglese rendeva indispensabile il Lend Lease.

    Roosevelt sviluppò l'idea che la concessione alla Gran Bretagna del massimo aiuto possibile avrebbe consentito all'America di restarsene al di fuori della guerra, e sollecitò il paese a diventare il "grande arsenale della democrazia".

    I sondaggi d'opinione rivelarono che, accettando il rischio calcolato proposto da Roosevelt, il 70% dell'elettorato era adesso disposto persino a correre il pericolo della guerra al fine di aiutare la Gran Bretagna. Ma ancora notevole era la percentuale di coloro che si opponevano a un'immediata entrata in guerra dell'America, e il Lend Lease doveva ancora superare l'ostacolo del Congresso. Lo House of Representatives Bill 1776, incontrò l'opposizione degli isolazionisti, e dovettero passare due mesi di dibattito prima che il Congresso approvasse finalmente il Lend Lease con una grande maggioranza.

    Churchill salutò il Lend Lease come " una nuova Magna Carta ", e il Neir York Times come la fine di una grande ritirata che aveva avuto inizio nel 1920 con il rifiuto di aderire alla Società delle Nazioni. Ma pur costituendo una delle svolte cruciali della guerra, l'approvazione del Lend Lease non segnò certo un improvviso mutamento della politica estera americana. Questo fatto emerge chiaramente dal discorso sullo Stato dell'Unione pronunciato da Roosevelt davanti al Congresso all'inizio del 1941. In questo discorso, il presidente degli Stati Uniti, delineò le due principali direttrici della politica estera americana, difesa nazionale e appoggio alle democrazie che si opponevano all'aggressione.

    Per il popolo americano il Lend Lease non costitui una rivoluzione nel campo della politica estera, ma semplicemente un altro passo nel processo di lento risveglio dall'isolazionismo. In effetti, l'aspetto cruciale dell'operazione era rappresentato dalla necessità di mantenersi entro i limiti fissati dalle leggi sulla neutralità. Gli isolazionisti si affrettarono a denunciare il Lend Lease come strumento per aggirare quelle leggi e indubbiamente avevano ragione; il fatto è che il governo non se la sentiva ancora di sfidare apertamente il Neutrality Act.

    Da solo, il Lend Lease non avrebbe certo assicurato agli alleati la vittoria esso giunse troppo tardi per salvare la Grecia, e persino il primo stanziamento di 7 miliardi di dollari non avrebbe influito in alcun modo sulla battaglia dell'Atlantico. L'industria americana reagì in modo piuttosto lento all'espansione della domanda; e, comunque, restava pur sempre il problema di garantire che le merci giungessero a destinazione. Ma quella della scorta ai convogli era una questione scabrosa che Roosevelt era anche troppo ansioso di ignorare.

    Il presidente era disposto a impegnarsi in una certa misura, e in realtà adottò numerosi provvedimenti per alleviare la pressione cui gli inglesi erano sottoposti. Egli riusci a farsi attribuire dal Congresso l'autorità di sequestrare le navi italiane e tedesche nei porti americani, e ciò consenti di potenziare l'ormai esiguo numero di navi da trasporto disponibili. Il limite delle acque neutrali, dal quale le unità da guerra tedesche erano state ammonite di tenersi lontane venne allargato in modo da abbracciare l'intera Groenlandia, che alla fine gli Stati Uniti presero ufficialmente sotto la propria protezione. A poco a poco l'America finì anche per occuparsi interamente delle forniture destinate alle truppe inglesi operanti in Egitto.

    Sul problema dei convogli Roosevelt continuava però a mantenere un atteggiamento negativo. A rigor di logica, la necessità di scortare i convogli era indiscutibile, ma era proprio questo che Roosevelt temeva, dato che gli isolazionisti non si stancavano di ripetere che la logica del comportamento del presidente avrebbe inesorabilmente trascinato in guerra il paese.

    Le esitazioni di Roosevelt possono in parte essere spiegate dal suo sesto senso politico. Istintivamente egli avvertiva che gli americani non erano del tutto favorevoli all'idea che unità da guerra americane scortassero i convogli i sondaggi d'opinione registravano una leggerissima maggioranza favorevole e non osava spingere la non belligeranza tanto in là da correre il rischio di scontentare una parte non trascurabile dell'opinione pubblica. Il presidente non reagì neppure di fronte al siluramento di un mercantile statunitense, il Robin Moor.

    Se fu la mancanza di un pieno appoggio da parte dell'opinione pubblica, a convincere Roosevelt a non stabilire un sistema di scorta ai convogli, anche alcune considerazioni strategiche a lungo termine sconsigliavano un confronto diretto con la Germania nell'Atlantico la minaccia più diretta contro l'America proveniva infatti dal Giappone, le cui ambizioni espansionistiche non avrebbero potuto essere frustrate ancora per lungo tempo. Il pericolo giapponese era stato contenuto nel febbraio 1941 mediante energici accenni alla possibilità di un'azione anglo americana ma il patto di neutralità russo giapponese, firmato in aprile, in una certa misura neutralizzò l'efficacia di quella minaccia.

    Obiettivo costante della strategia americana era quello di mantenere tranquillo il Giappone, facendo si, nello stesso tempo, che la Gran Bretagna affrontasse da sola la Germania. Da una parte, ciò significava evitare uno scontro diretto tra Germania e Stati Uniti nell'Atlantico, in modo da non indurre il Giappone a entrare in guerra conformemente ai termini del patto tripartito a norma del quale Germania, Italia e Giappone avevano convenuto di intervenire l'uno in aiuto dell'altro in caso di attacco da parte di una qualsiasi potenza non ancora entrata in guerra. Dall'altra significava che la Pacific Flect doveva essere tenuta come deterrente contro il Giappone, e non poteva quindi essere impiegata per rafforzare le formazioni navali dell'Atlantico.

    L'invasione tedesca della Russia, scatenata nel giugno del 1941, sconvolse tutti questi calcoli, permettendo a Churchill e Roosevelt di avere il loro primo incontro del periodo bellico. Sul piano dell'elaborazione di programmi militari l'incontro ebbe effetti quasi trascurabili; l'unico risultato concreto fu il documento messo a punto, dai due statisti: la Carta atlantica.

    Eppure, proprio in quel momento, l'invasione della Russia stava minando alle fondamenta questa vecchia concezione. Come poteva l'America continuare a predicare i suoi alti ideali e nello stesso tempo aiutare, tramite il Lend Lease, la più grande potenza totalitaria del mondo e approvare, l'invasione anglo sovietica della Persia? L'attacco contro la Russia sottolineò ancora una volta l'urgente necessità che l'America intervenisse nella guerra europea. Lo stesso Stalin disse a Hopkins, emissario di Roosevelt a Mosca: " Ci sarebbe una cosa che, da sola, potrebbe sconfiggere Hitler, forse addirittura senza colpo ferire: l'annuncio che gli Stati Uniti stanno per dichiarare guerra alla Germania ". Anche alcuni comandanti inglesi Wavell e Auchinleck, ad esempio sollecitavano apertamente l'America a entrare in guerra.

    Ma proprio quando la soluzione più ovvia sembrava quella di colpire Hitler, nel momento in cui le sue risorse erano impegnate al massimo e la Russia gli stava opponendo una resistenza inaspettatamente tenace, la nazione americana era in preda a una " ricaduta " di isolazionismo. Il periodo della coscrizione stava per finire e doveva essere rinnovato. Il senato approvò una proroga di 18 mesi, ma alla Camera dei rappresentanti l'opposizione si dimostrò diffusa e assai vivace, quando infine, il 12 agosto, la Camera approvò la legge, l'esito della votazione fu di 203 voti favorevoli e 202 contrari.

    Sotto molti aspetti, fu questa l'ultima vigorosa presa di posizione degli isolazionisti; ma non vi è dubbio che essa costituì una dimostrazione abbastanza esplicita della loro forza latente che, pochi mesi prima di Pearl Harbor, per un solo voto non ebbe l'effetto di sciogliere la maggior parte delle forze statunitensi.

    La conseguenza più importante dell'invasione della Russia, fu che essa liberò assai più efficacemente di quanto non avesse fatto il patto di neutralità russo giapponese, tutte le forze giapponesi per la tanto sospirata espansione nell'Asia sudorientale. Fu proprio in quest'area che l'America doveva scoprire il reale significato della sicurezza collettiva il Giappone minacciava allo stesso modo gli interessi inglesi, olandesi e americani. Questi interessi erano cosi strettamente interdipendenti che un attacco diretto contro uno qualsiasi di essi avrebbe quasi certamente provocato una guerra tra America e Giappone guerra che neppure l'invasione giapponese della Cina, che durava ormai da quattro anni, era riuscita a provocare.

    La politica atlantica di Roosevelt assunse quindi un tono molto più energico. A partire da luglio iniziarono i preparativi per l'occupazione dell'Islanda, cosa che avrebbe consentito agli inglesi di destinare ad altri compiti le loro truppe. Questo atto altamente provocatorio suscitò le energiche proteste dell'ammiraglio Raeder, comandante in capo della marina da guerra tedesca, inducendolo addirittura a chiedere a Hitler il permesso di attaccare tutte le navi da trasporto americane. Ma, non desiderando affatto trascinare in guerra l'America, Hitler rispose negativamente.

    Il successivo passo di Roosevelt fu quello di organizzare la protezione dei convogli fino all'Islanda e.uno scontro tra un cacciatorpediniere americano e un UBoot, anche se l'incidente era stato provocato dal cacciatorpediniere, forni a Roosevelt il pretesto per estendere la protezione americana a tutti i mercantili in navigazione nelle " acque difensive " degli Stati Uniti., Roosevelt annunciò la decisione di adottare la politica dello " sparare a vista ".

    Il riferimento di Roosevelt alle " acque difensive " fu un curioso stratagemma. L'espressione, potendo coprire praticamente qualsiasi settore, era molto simile a una definizione classica della libertà dei mari; se dunque Hitler avesse deciso di lanciare una indiscriminata guerra di sommergibili, l'America saiebbe entrata in guerra esattamente come era avvenuto nel 1917.

    Nel tentativo di revocare fl Neutrality Act del 1939, il governo avanzò la tesi che esso era stato ideato e approvato per evitare ogni conflitto, ma che le circostanze ne avevano dimostrato il fallimento. Al Congresso il dibattito sulla revoca fu molto serrato. Mentre era in pieno svolgimento, il cacciatorpediniere americano Kearny fu silurato, e ancora una volta Roosevelt sfruttò l'incidente per piegare l'opposizione degli isolazionisti. Si trattava di una deliberata distorsione dei fatti, infatti prima di aprile un cacciatorpediniere americano aveva lanciato bombe di profondità contro un UBoot, e lo stesso Kearny era stato attaccato solo dopo che aveva, per primo, sganciato bombe di profondità. Il 13 novembre, il Congresso approvò la revoca, ma in ambedue i rami del parlamento la maggioranza era stata molto esigua.

    La revoca del Neutrality Act e gli ordini di Roosevelt di sparare a vista, avrebbero indubbiamente costituito per Hitler motivi sufficienti per dichiarare guerra all'America. Ma egli preferì attenersi rigorosamente a un atteggiamento di correttezza, e ordinò alle unità della sua marina da guerra di difendersi ma di non sparare per prime. Nel frattempo, in Estremo Oriente lo scoppio della guerra appariva sempre più imminente.

    I movimenti di truppe giapponesi nell'Indocina francese, avevano infine costretto gli Stati Uniti a congelare i fondi giapponesi in America, mentre il divieto di esportare petrolio in Giappone bloccava quasi completamente gli scambi commerciali tra i due paesi. Queste drastiche misure economiche, cui ben presto aderirono anche Gran Bretagna e Olanda, erano destinate a spingere decisamente il Giappone in una direzione o nell'altra. La maggioranza dei membri del governo giapponese era propensa a impadronirsi con la forza di quelle materie prime di cui il paese aveva bisogno.

    Nel tentativo di arginare la pressione esercitata dai suoi colleghi militari, il primo ministro giapponese, principe Konoye, nell'agosto e nel settembre del 1941 si rivolse più volte a Roosevelt auspicando un incontro personale volto a risolvere le traversie esistenti tra i due paesi. Ma il presidente americano rispose di giudicare inutile un incontro di questo genere fintantoché il Giappone era intento a perseguire una politica espansionistica. Poiché la marina da guerra degli Stati Uniti aveva decifrato i codici giapponesi, gli americani riuscirono a intercettare alcuni messaggi inviati da Tokyo a Nomura, l'ambasciatore giapponese a Washington: il contenuto di questi messaggi confermò al segretario di stato l'impressione che il Giappone stesse predisponendosi a scatenare la guerra nell'Asia sudorientale.

    In ottobre Konoye fu sostituito dal ministro della guerra Tojo. Il ministro degli esteri di Tojo, Togo, riusci però a convincere il governo ad attendere l'esito di un'altra serie di conversazioni diplomatiche prima di avviare le operazioni militari. I giapponesi non potevano sperare di soddisfare le richieste americane che essi ponessero fine alla guerra in Cina, ritirassero le loro truppe dall'Indocina, denunciassero gli obblighi connessi al patto tripartito e si impegnassero a ricercare metodi pacifici per risolvere eventuali controversie.

    La sola speranza era quella di raggiungere un limitato modus vivendi. Ma le reazioni cinesi a una simile proposta, l'inizio di movimenti di truppe giapponesi e il fatto di sapere che il 29 novembre era la data ultima fissata dai giapponesi per l'inizio delle ostilità, convinsero Hull a rinunciare all'idea di un modus vivendi. Il 26 novembre egli presentò invece un piano di pace basato su dieci punti, piano che però era del tutto inaccettabile per i giapponesi. Da quel momento in poi, nonostante un estremo tentativo diplomatico di Roosevelt, si trattò solo di vedere quando la guerra sarebbe cominciata.

    Nonostante i membri del governo mettessero in guardia il paese sulla necessità di prepararsi a un attacco di sorpresa da un momento all'altro, la politica estera americana ribadì ancora una volta il suo rigoroso legalitarismo per due ultime, paralizzanti settimane. Pur sapendo con certezza che un attacco giapponese era ormai imminente, il governo non poteva neppure concepire la possibilità di sferrare il primo colpo. Il governo era anzi molto preoccupato dalla possibilità che il Giappone attaccasse prima il Siam, quando il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò un possedimento americano: Pearl Harbor, nelle Hawaii.
    Tratto da www.lasecondaguerramondiale.it